VACUNA - Premessa del Dott. Alessandro Betori

VACUNA - Premessa del Dott. Alessandro Betori

Negli ultimi anni si è assistito ad un rinnovato slancio di ricerche sui siti archeologici della Sabina interna in generale (si pensi alle importanti scoperte inerenti il culto di Vacuna a Montenero Sabino da parte di un’équipe dell’Università di Lione 2- Lumière diretta da Aldo Borlenghi) e del reatino in particolare.

Se le indagini di Carlo Virili a Campo Reatino prima, a Colli sul Velino poi, hanno gettato nuova luce sulla protostoria e l’alta età arcaica della conca reatina, gli scavi dell’Università canadese Saint Mary di Halifax diretti da Myles Mc Callum hanno riportato l’interesse degli archeologi classici sui rilevanti siti legati alle Terme di Cotilia. L’esteso, complesso insediamento lungo la Salaria distante poco più di dieci chilometri da Rieti ed appartenente al territorio reatino, assommava in sé diverse valenze ed aspetti: era insieme statio del cursus publicus sulla via consolare, luogo di cura per la presenza delle acque (aquae Cutiliae) ritenute curative e, soprattutto, luogo di culto e culla dell’identità sabina. A questa altezza sulla direttrice naturale della media valle del Velino i Sabini sarebbero venuti in contatto, nel corso della loro migrazione dalla conca aquilana, dalla mitica madrepatria di Testruna, con gli abitanti originari di quei luoghi, i Pelasgi, succeduti secondo il confuso racconto dei Saturnalia di Macrobio a Siculi ed Aborigeni. La missione pacificatrice e civilizzatrice dei Greci, attraverso gli oracoli prima e il semidio Eracle successivamente, avrebbe favorito prima lo stabilirsi di quelle popolazioni mitistoriche, in seguito fatto abolire culti crudeli destinati a placare le divinità infere di Ade e Dis Pater, probabilmente in rapporto alle acque sulfuree attualmente utilizzate nelle terme in località Vasche. In rapporto od in sostituzione alle divinità infere vi si stabilì o rafforzò il culto di una delle divinità più tipiche e peculiari, come ancora misteriose, del pantheon sabino, Vacuna, sulle cui caratteristiche precise erano incerti anche gli antichi. Essa dovette precocemente subire, dopo un breve fiorire legato al recupero dei culti tradizionali propugnata da Augusto e dagli intellettuali della sua cerchia, la definitiva interpretatio Romana come Vittoria. In verità del culto di Vacuna a Cotilia sappiamo assai poco, fondamentalmente soltanto che le era sacro il lago che prendeva o dava il nome alla località, che si tende ad identificare con l’odierno lago di Paterno. Proprio la natura geologica ed idrologica di questo piccolo, profondo lago carsico, maggiore di alcuni altri più o meno effimeri, potrebbe a mio parere spiegare la natura e il senso stesso della denominazione di questa oscura divinità. Essa era legata ad un bacino carsico, un sink hole, che dovette o avrebbe potuto come altri vicini, sprofondare in una dolina, il che spiega il legame indubbio con la radice del latino vacare in maniera più perspicua che facendola identica, il che in effetti non è, con quella di lacus. Dovremmo dunque ipotizzare che un evento catastrofico abbia riguardato in età protostorica o alto arcaica uno dei laghetti di Cotilia, originando un culto superstizioso alla forza della natura riconnessa con il disastro, che da lì si sarebbe per così dire spostata nei vari ambiti geografici occupati dai Sabini reatini o in ogni caso interni, nell’alta valle del Velino (iscrizioni da Sigillo e Làculo, frazioni di Posta, e dal prossimo territorio di Borbona, dove compare come Vittoria in una dedica di Giulia Domna, moglie di Settimio Severo), sulla direttrice che dalla conca reatina porta verso la Sabina Tiberina (iscrizioni da Cerchiara in comune di Rieti, santuario in località Leone di Montenero Sabino), nonché probabilmente nella Sabina mutuesca (probabile culto di Vacuna a Trebula) e forse nella tiberina (iscrizione perduta, che alcuni ritengono un falso ligoriano, dal territorio curense o foronovano), mentre ormai interpretata come Vittoria compare nella valle del Digentia/Licenza a conferma di un passo celebre delle Epistulae oraziane in cui si accenna ad un santuario ormai in rovina della divinità (fanum putre Vacunae).

Sia come sia la topografia dei luoghi legati dalla tradizione ai Flavi nel sito di Cotilia è in corso di riconsiderazione per merito delle indagini dell’équipe canadese di Mc Callum e del Prof. Martin Beckmann dell’Università Mc Master di Hamilton e dell’attività indefessa dell’archeologo italiano Simone Nardelli, in parte originata dalle feconde intuizioni di Filippo Coarelli. Recenti sono le indagini geognostiche volute sul sito delle c.d. Terme dei Flavi a Caporio dagli studiosi canadesi, mentre gli scavi alle c.d. Terme o Villa di Tito sopra il lago di Paterno in comune di Castel S. Angelo sono in corso, con la disgraziata interruzione del 2020, dal 2017, anche per volontà e interessamento dall’allora responsabile per la Soprintendenza Emanuele Nicosia. Esse ultime paiono escludere recisamente una qualunque funzione strettamente termale del sito, che al momento attuale si può definire genericamente come un monumentale terrazzamento destinato a sostenere un complesso di indubbio interesse e significato. L’interpretazione di esso come villa, che pure oggettivamente è la più logica ed immediata, non è stata sinora esclusa, mentre per l’ascrizione alla proprietà della gens Flavia si deve andare indubbiamente più cauti. La presenza infatti nella villa sita nella remota località di San Lorenzo di Cittareale, luogo di nascita di Vespasiano, di un lussuoso pavimento in opus sectile di datazione alto-imperiale, se non determina ipso facto l’ascrizione di quella proprietà agli imperatori Flavi, dimostra come anche in zone ancora più distanti dall’ambito urbano si possano trovare nella Sabina interna tratti e caratteristiche di lusso e ricercatezza che non dovrebbero essere mancati in una villa imperiale, sebbene di una dinastia che almeno nei suoi due primi esponenti rifuggiva, senza dubbio demagogicamente, dall’ostentazione di sfarzi e ricchezza: sinora nulla di paragonabile si è rinvenuto nel complesso di Paterno, pure dotato di una monumentalità e impegno tali da non dico richiedere un apparato decorativo di alto livello, ma almeno di giustificarlo. D’altra parte e in maniera quasi speculare nulla si è finora trovato che leghi definitivamente il complesso delle Terme dei Flavi o di Vespasiano a Cittaducale in maniera esplicita ed inequivoca alla sfera del sacro. Se da una parte infatti è impensabile che un complesso curativo antico potesse prescindere totalmente dalla componente cultuale o religiosa lato sensu, è bensì vero che nel complesso, esteso per alcuni ettari e che ha necessitato di ingenti scavi per essere messo in luce, non è stato messo in luce neppure un frammento di ex voto o altro elemento legato a Vacuna o ad altre divinità, come peraltro accaduto anche nel sito di Castel S. Angelo.

L’intuizione alla base di questo volumetto dell’amico Pietro Nelli, autore di numerosi studi sulla sua Sabina, tra cui è da citare l’utile regesto della Via Salaria, che qui volentieri presento, è che il luogo di culto di Vacuna si trovi appunto nell’ambito o sia da identificare con il complesso della c.d. Villa di Tito.

Se questa ipotesi ha dalla sua la vicinanza al lago di Paterno, ammesso che esso si possa o debba identificare con il lacus Cutiliae, non si devono sottacere le difficoltà, che risiedono come per il caso di Cittaducale e si accennava più sopra nella totale assenza di materiali legati alla sfera del sacro. Se le ricostruzioni presentate dall’Autore non hanno, per esplicita ammissione, pretesa di conclusività o vincolo di stringente adattabilità, se non dimensionale, al sito dominante il lago di Paterno, lasciando alle ricerche future di dipanare l’enigma, bisogna considerare che presso Paterno doveva comunque esistere un complesso sacro. Ciò è dimostrato, o almeno fortemente indiziato da un frammento epigrafico attualmente irreperibile, ma visto alla fine del secolo XIX murato in una edicola sacra a quanto pare attualmente non più esistente (CIL IX. 4663: ] Iovi O(ptimo) M(aximo) aedem / [3] T(iti) f(ilius) Quir(ina) Iulianus p(osuit?) [3] / [3]a Veneris et Spei [s]igna in ea[3] / [3 sc]aenam et prosc[ae]nium et por[ticum])
che ci informa, oltre alla costruzione di una aedes (tempio) di Giove Ottimo Massimo, l’offerta di statue di divinità e, cosa ancora più significativa, la costruzione, il restauro ovvero la semplice menzione di strutture relative ad un teatro che a Cotilia, come insegna Filippo Coarelli nel suo testo capitale su “I santuari del Lazio in età repubblicana”, non poteva che essere legato ad un santuario. Che la aedes, forse un modesto sacello dedicate a Giove fosse proprio in un santuario di Vacuna, il cui culto doveva essere il principale della località, sebbene le poche fonti a disposizione ce lo dipingano piuttosto come culto agreste ed ipetrale, non è dato saperlo. Sullo sfondo rimane la questione di volerlo o meno identificare con l’imponente edificio rappresentato nella vignetta che sulla Tabula Peutingeriana identifica il luogo di Aquae Cutiliae, forse piuttosto da identificare nello stabilimento curative messo in luce in località S. Maria in Cesoni di Cittaducale.

Il terzo plesso tra quelli principali della topografia antica della località di Cotilia, quelle estese, monumentali terme in opera mista scavate dai Bonafaccia e documentate seppure cursoriamente da Nicolò Persichetti, che potrebbero essere state più che la villa dei Flavi una terma a servizio della statio, poste comodamente a 200 m in linea d’aria allo stabilimento ( /-Santuario?) terapeutico delle Terme di Vespasiano, attende anche esso di ritornare sulla scena per consentirci, se possibile, di dipanare la complessa vicenda dell’interpretazione ed identificazione dei vari complessi con quelli conosciuti o la cui esistenza è certa attraverso le fonti letterarie antiche.

Alessandro Betori
Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Frosinone, Latina e Rieti, Roma

© 2022 Pietro Nelli C.F. NLLPTR47H16H501U. Tutti i diritti riservati.

Please publish modules in offcanvas position.