L'imperatore dalle umili origini commento del Prof. Enrico Graziani

L'imperatore dalle umili origini commento del Prof. Enrico Graziani

Prof. Enrico Graziani
Docente di Filosofia Politica
Università di Roma "La Sapienza"

Presentazione del libro “L’imperatore dalle umili origini” di Pietro Nelli 

Non è un caso che in questi giorni presso le Scuderie del Quirinale sia stata inaugurata una mostra sul tema “Roma, Arte di un Impero” che espone i capolavori della romanità in cui, religione, diritto, politica e letteratura si coniugano nei tratti espressivi della pittura e della scultura su cui, di certo, non è estraneo il genio greco. Questo evento coincide proprio con la presentazione del libro di Pietro Nelli L’imperatore dalle umili origini, Titus Flavius Vespasianus, Roma, 2009, quasi a volerci dare un monito per il recupero di ciò che appartiene alla nostra cultura romano-guidaica che, in fin dei conti, non è solo cultura e tradizione italiana ma europea.


Ebbene, il libro in questione, si inserisce all’interno di una trilogia costituita da altri due volumi Roma Salaria Falàcrina e Le monete di Vespasiano in corso di pubblicazione che costituiscono i primi passi di un’indagine storica che ora si completa, per la ricostruzione esatta delle fonti, della toponomastica storica e per l’ampia bibliografia consultata, su un piano che avvalora tre aspetti, direi sostanziali, dell’esperienza politica romana: mi riferisco da un lato ai tratti della dimensione economica della Respublica (diremmo oggi alla politica economica dello Stato) dall’altro ai caratteri della giuridicità e della politicità dello Stato.
Occupandomi di filosofia politica e giuridica è certo che non è sfuggito alla mia attenzione il continuo intersecarsi di questi tre momenti fondativi della Respublica romana che nell’epoca in cui visse Vespasiano, costituivano il tessuto connettivo della romanità i cui precedenti trovano aggancio e si riallacciano alla visione augustea dello Stato.
Ebbene, lasciando per un momento da parte la visione economica dell’impero sotto Vespasiano, voglio rivolgere la mia attenzione proprio a queste due visioni dello Stato romano, quella del politico e quella del giuridico che nelle modalità in cui sono espletate nel testo avvalorano la figura dell’imperatore Vespasiano definito dal nostro autore con l’appellativo di “uomo nuovo”. Appellativo guadagnato grazie alla straordinaria capacità di saldare insieme solidi principi, sano realismo e buonsenso in un’epoca in cui Roma versava nel disordine e nella discordia.
Alcuni tratti della giuridicità si scandiscono nel testo non attraverso la voce di giuristi di mestiere (anche se continui sono i riferimenti a Giustiniano) ma attraverso gli storici Tacito e Svetonio che con maestria aristotelica e rigore storiografico descrivono la realtà politico-istituzionale del loro tempo. Ed è proprio questo realismo storico-politico che li induce ad entrare nel complesso mondo del diritto e delle istituzioni quasi vivendo lo ius (ossia il diritto) attraverso la storia. 
Su questa linea si costruisce il sentiero attraverso il quale è definita, da Pietro Nelli la personalità di Vespasiano come colui che incarnò “le caratteristiche del romano vecchio stile” cioè “uomo straordinariamente affabile, contadino attaccato alla terra, soldato pronto a difendere le proprie radici”. 
Questi caratteri sono effettivamente impressi nella figura di Vespasiano dato che, come scrive l’autore, erano necessari per percorre tutti i gradini della carriera politico-militare, specie se si era di umili origini, e che avrebbero condotto alla massima investitura imperiale: così è stato eletto edile sotto Caligola nel 38 d. C. dopo la prima candidatura fallita nel 37 d.C., e pretore all’inizio del 39 d. C.. 
Queste cariche, nell’antica Roma coniugavano simultaneamente la dimensionalità del giuridico e del politico quali doti necessarie per il politico in azione calato nella realtà istituzionale. 
I due termini edile e pretore contengono in sé tutti gli elementi che racchiudono la sacralità dello Stato romano.
Il termine edile, dal latino aedilis, indica il magistrato romano addetto alla cura delle strade, degli edifici, dei costumi (in latino mos), alla sorveglianza dei mercati.
Il termine pretore, dal latino praetor dapprima indicava il capo supremo dell’esercito, dal 367 il magistrato civile distinto dal consolato, poi sdoppiato in praetor urbanus con giurisdizione sui cittadini e il praetor peregrinus con giurisdizione sugli stranieri.
Queste due cariche consentirono a Vespasiano di esprimere il senso della virtus romana, termine che si presenta con significati assai profondi: la virtus indica da una parte l’insieme delle doti fisiche e morali caratteristiche dell’uomo (carattere, capacità, valore); dall’altra le doti militari (coraggio, valenza, prodezza), in definitiva le due componenti definiscono l’uomo virtuoso ossia incarnano le doti del politico.
Ma Pietro Nelli va oltre nel suo libro ed entra nel mondo del diritto attraverso Tacito che negli Annales, come scrive l’autore, “precisa le procedure” (p. 26) sia in caso di condanna, sia in caso di confisca dei beni, sia in materia di testamento e successione. L’aspetto più rilevante, in materia di diritto è, senza alcun dubbio, il passo che leggiamo nel libro in cui si sostiene che “Vespasiano pubblicò a Roma il 27 dicembre del 74 un provvedimento noto come edictum de privilegiis medicorum et magistrorum”, la fonte è certa dato che, come attesta l’autore, “nel 1934 fu rinvenuta a Pergamo una lapide marmorea in cui era contenuto l’editto, il cui scopo era quello di migliorare le condizioni di vita dei medici, insegnanti e iatraliptae (medici-massaggiatori che, facendo uso di oli ed unguenti, riuscivano con manipolazioni ad alleviare i dolori delle ossa), per consentire loro di dedicarsi alle loro professioni, giudicate di grande utilità sociale” (p. 163).
Quale é l’importanza giuridica dell’editto nell’antica Roma? Innanzitutto occorre dire che il termine edictum in senso ufficiale indica un avviso pubblico e va distinto: quello emanato da un edile come per esempio nella formula di Cicerone: “praestat edicto aedilium” (è responsabile in base all’editto degli edili) o come nel caso “multas res novas in edictum addere” (aggiungere molte disposizioni nuove alle ordinanze dei predecessori), e quello emanato da un pretore, nel caso specifico editto del pretore, ossia l’editto emanato dal pretore entrante in carica in cui pubblicava e spiegava i principi secondo i quali avrebbe amministrato la giustizia. C’è poi da dire che se entriamo nel mondo delle istituzioni del diritto romano, gli editti nella gerarchia delle fonti, fanno parte delle fonti primarie cioè quelle che danno vita allo Stato e sono equiparati alle leggi, ai senato-consulti e ai decreti. Mente fonti secondarie sono quelle riferite dagli storici, politici e scrittori dell’epoca successiva.
E attraverso gli editti, con l’appoggio dei decreti del Senato, Vespasiano riordinò la compagine della Respublica sia in materia di edilizia pubblica proibendo “la demolizione degli edifici per asportarne marmi e farne commercio ponendo in questo modo le basi per la conservazione di opere che potevano risultare di una certa rilevanza” (p. 142), sia per le cariche più importanti dello Stato, sia per l’apertura di scuole di retorica in cui “modellare una classe magistrale più legata ai valori autoctoni e ai costumi classici romani, che erano stati messi in ombra a favore di quelli più ellenizzanti da parte di Nerone” (p. 163).
In sostanza, Vespasiano, come si evince dalla lettura del libro ha incarnato perfettamente l’ideale classico dell’imperator che in lingua latina racchiude i quattro significati fondamentali del termine: capo-signore, comandante in campo-generale, imperatore, con la minuscola, per indicare il titolo onorifico dato ai generali vittoriosi dal senato o dai soldati per acclamazione, e infine, che li racchiude tutti Imperatore con la maiuscola ossia colui che impersona la virtus romana quale dote fondamentale del politico.

Enrico Graziani

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